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Uomini e donne, per un "cambio di civiltà" - al di là del Regno di "Mammasantissima": l’alleanza edipica della Madre con il Figlio, contro il Padre, e contro tutti i fratelli e tutte le sorelle.

USCIAMO DAL SILENZIO: UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE. Basta - con la connivenza all’ordine simbolico della madre [Giocasta]!!! - a c. di Federico La Sala

L’antropologia come la teologia della "sacra famiglia" della gerarchia vaticana è zoppa e cieca: è quella del ’Figlio’ che prende - accanto alla Madre - il posto del padre "Giuseppe" e dello stesso "Padre Nostro"... e fa il "Padrino"!!!
lunedì 27 novembre 2006 di Federico La Sala

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> USCIAMO DAL SILENZIO: UN APPELLO DEGLI UOMINI, CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE. Basta - con la connivenza all’ordine simbolico di "Mammasantissima" (l’alleanza edipica della Madre con il Figlio, contro il padre e contro tutti i fratelli e tutte le sorelle) !!!.

mercoledì 11 ottobre 2006

L’alternativa femminista per un’altra Europa

Il 6 e il 7 ottobre, Trieste è stata la sede di un importante e partecipato convegno, “Violenza e patriarcato”, organizzato dalla rete El-fem della Sinistra europea. L’analisi delle cause e le strategie di trasformazione

di Beatrice Busi (Liberazione, 10.10.2006)

Qualche anno fa, la filosofa Rosi Braidotti immaginava l’Europa come «un luogo di possibile resistenza politica» al nazionalismo, alle guerre e alla xenofobia, un luogo attraversato e risignificato dai movimenti femministi, pacifisti e antirazzisti. Nella postfazione a Nuovi soggetti nomadi (Luca Sossella Editore), descriveva il progetto di uno spazio sociale europeo aperto e postnazionale che avesse come cardine la politica femminista dei saperi incarnati e situati.

Un progetto che ha trovato una risonanza significativa nel convegno Violenza e patriarcato che si è svolto nei giorni scorsi a Trieste organizzato dalla rete femminista El-fem della Sinistra europea. Nel cuore della mitteleuropa, luogo simbolico dei molti confini che restano ancora da superare e oltrepassare, venerdì 6 e sabato 7 ottobre, si sono incontrate donne, dei partiti e dei movimenti, provenienti da tutta Europa, in particolare dalla Germania, dalla Francia ma anche dai paesi della ex-Jugoslavia, dall’Estonia, dalla Romania, dalla Grecia e dalla Turchia. Due giorni di discussione intensa e appassionata, articolata in quattro sezioni tra loro strettamente intrecciate: violenza e povertà, violenza e guerre, violenza in famiglia e prostituzione che hanno visto una partecipazione numerosa, oltre le stesse aspettative delle organizzatrici.

Come ha sottolineato Elettra Deiana nell’introduzione al workshop sulle guerre, il legame tra la violenza nelle sue varie forme e il patriarcato non è accidentale. Anzi, il patriarcato è «un assetto sistemico e funzionale» del quale la violenza è un elemento strutturale. La recrudescenza della violenza contro le donne a livello globale e locale, pubblico e privato, denuncia sia una crisi di legittimazione dell’ordine patriarcale che un’offensiva contro il nuovo protagonismo politico e sociale delle donne, un’insofferenza e un’incapacità maschile a misurarsi con l’autonomia femminile ma anche un ostacolo reale ai processi di autodeterminazione e libertà delle donne.

Le guerre sono “fatti sociali”, non solo economici, e poggiano su dispositivi di costruzione del mito dell’appartenenza e dell’identità. Occorre liberarsi dai fondamentalismi e dai nazionalismi come strutture simboliche maschili che poggiano sul controllo del corpo delle donne e che sono anche i principali incubatori di guerre. Le donne sono le prime a fare le spese delle storture delle ideologie comunitariste, e si tratta di lavorare con continuità non solo nell’urgenza dell’opposizione alla guerra come «strumento di risoluzione dei conflitti», ma anche prevenendo i conflitti attraverso la promozione di un’etica pubblica femminista centrata nella pratica della relazione con l’altro. E’ necessario liberarsi della categoria di “nemico” che provoca la disumanizzazione dell’altro da sé e sostituire la categoria della colpa con quella di “responsabilità collettiva” nella prevenzione delle guerre: valorizzando i vissuti, opponendo la “sorellanza” all’appartenenza etnica o nazionale, aiutando l’altro nell’elaborazione del lutto, facendo formazione ed educazione all’ascolto.

Di fronte alle vecchie e nuove forme della violenza e al riemergere di culture che tentano di negare soggettività alle donne, non si può rispondere con politiche “repressive” o provvedimenti isolati ma solo andando alle radici della violenza e scardinando quelle rappresentazioni che vogliono le donne solo come “vittime” e “oggetti di tutela”. Un tema che ha attraversato tutti i momenti di discussione ma sul quale si è insistito particolarmente nel gruppo di lavoro sulla violenza in famiglia, dove è emerso il rapporto problematico e la relazione critica che le donne hanno con lo Stato e le istituzioni. Come ha ricordato Angela Azzaro nell’introduzione al workshop, le leggi non sono mai “neutre”, anzi storicamente sono state uno degli strumenti privilegiati di perpetuazione del potere patriarcale. Allo stesso modo è la casa, e non la strada, il luogo più pericoloso per le donne, perché la famiglia produce e riproduce i rapporti di forza patriarcali. E’ proprio nella famiglia che si consolidano i tradizionali ruoli maschili e femminili e la “normalità” della violenza riguarda le nostre relazioni quotidiane.

Che risposte dare allora alla violenza? Serve soprattutto una trasformazione culturale della società e si devono mettere al centro dell’iniziativa politica la costruzione di nuovi modelli di relazione tra uomini e donne e di un nuovo immaginario sessuale. Secondo Stefano Ciccone il conflitto tra uomini e donne va nominato e c’è bisogno di una pratica reale che chieda anche agli uomini di interrogarsi su se stessi. Ma c’è bisogno anche di una rete di appoggio materiale ed economico, senza la quale in condizioni di dipendenza economica diventa impossibile denunciare le violenze, soprattutto se si tratta di donne migranti.

Lo smantellamento del welfare è stato al centro anche della discussione su violenza e povertà: la povertà genera esclusione sociale, isolamento e negazione dei diritti di cittadinanza. Per sopravvivere e riprodursi il modello neoliberista genera disuguaglianza e la globalizzazione “senza regole” erode i diritti. Di fronte all’aumento progressivo della “femminilizzazione della povertà” si deve uscire una volta per tutte dal modello familista e costruire un nuovo welfare laico e non assistenzialista, che garantisca la libertà e l’autonomia delle donne. Servono servizi pubblici e politiche di inserimento lavorativo che promuovano un’occupazione di qualità: non solo estendere anche alle istituzioni europee l’esperienza dei bilanci di genere ma soprattutto introdurre forme di reddito sociale o di cittadinanza.

Molto partecipato il workshop sulla prostituzione nel quale il dibattito è stato particolarmente appassionato e nel quale le “opinioni a confronto” si sono divise soprattutto riguardo all’opportunità di riconoscimento legale della prostituzione come lavoro. Se questo tipo di legalizzazione possa essere o meno uno strumento efficace per combattere la violenza contro le sexworkers, rimane il dato drammatico che questa violenza ha certamente origine nello “stigma” che pesa sulle prostitute determinandone l’isolamento sociale e che questa esclusione è il terreno su cui si innesta lo sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali. «Quello che chiediamo alle compagne della Sinistra europea e alle tante donne presenti - ha detto Pia Covre del Comitato per i diritti civili delle prostitute - è di lottare insieme contro la violenza, violenza che è generata dal sistema sociale delle disuguaglianze in cui si fonda la violenza di genere, ma anche la violenza istituzionale conseguenza delle leggi proibizioniste sulla migrazione e la prostituzione».

La lotta a tutti i dispositivi sociali che generano violenza contro le donne è certamente la grammatica comune per la costruzione di un’alternativa femminista per un’altra Europa. Un obiettivo non di oggi, né forse di domani. Ma che vede tante donne impegnate e che ha visto in questa tappa della rete El-fem un passaggio significativo. «E’ l’inizio del confronto tra linguaggi diversi - sottolinea Imma Barbarossa tra le organizzatrici della due giorni -. Ma è un inizio molto importante anche per la relazione che la rete ha subito stabilito con i movimenti delle donne. Ora si tratta di andare avanti».


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